LA LINGUA DEI SEGNI SARÀ UN PATRIMONIO DA SCOPRIRE

di Luca Bergamin, Corriere della Sera Orizzonti, 7 giugno 2018

Chiara Branchini, ricercatrice della Ca’ Foscari, sta lavorando per comporre la grammatica digitale italiana delle persone sorde segnanti. Altri sei Paesi stanno facendo lo stesso. «C’è un lessico ricchissimo e ricco di sfumature che potrà servire anche agli udenti»

Lungo un viale romagnolo Chiara Branchini usa le sue mani lunghe e flessuose, accompagnando ogni gesto con sguardi radiosi e gentili, per mostrare alcune delle “lettere” che comporranno la grammatica digitale italiana della lingua dei segni. La quarantaquattrenne ricercatrice dell’Università Ca’ Foscari di Venezia è responsabile, insieme ad Anna Cardinaletti e al Prof. Carlo Cecchetto dell’Università Bicocca di Milano, di questo emerito e rivoluzionario progetto che ha come obiettivo fondamentale formare i ragazzi sordi, gli interpreti e gli assistenti alla comunicazione scolastica, e di sviluppare test diagnostici che riescano a valutare i disturbi di linguaggio (il 7% della popolazione ne soffre).

«Questa regolamentazione linguistica – esordisce la prof. Branchini – ci permetterà anche di realizzare un atlante geografico, già esistente per le lingue vocali, in cui connettendosi ad un sito specifico, in via di creazione, si possano apprendere informazioni sulle caratteristiche specifiche di ogni lingua dei segni esistente al mondo, dall’ordine delle parole a come, ad esempio, si esprime l’aggettivo superlativo. Si tratterà di una sorta di enciclopedia destinata a crescere ed allargarsi per includere, nel corso del tempo, un numero sempre maggiore di lingue dei segni. Poi, attraverso la grammatica digitale, vogliamo realizzare video interviste ai sordi anziani in cinque regioni italiane, per trattenere testimonianze culturali, esperienze personali che abbracciano un periodo di tempo che va dalla seconda guerra mondiale ai principali eventi storici europei, rivolgendo domande che si ripetono in tutti i Paesi partner».

Il progetto Sign Hub, finanziato dall’Unione Europea, è partito nel 2016 e durerà sino al 2020. Interessa sette Paesi partner – Spagna, Francia, Italia, Paesi Bassi, Israele e Turchia – e ha l’urgenza e anche l’ambizione di scrivere la grammatica della lingua dei segni di ciascuna di queste nazioni in modo che poi ci possa essere un confronto, uno scambio e dunque una reciproca comprensione tra queste forme espressive che, nonostante si basino tutte sull’utilizzo delle mani, sono diverse le une dalle altre.

«Le parole espresse coi gesti dai sordi soffrono di un pregiudizio rispetto alle lingue vocali – prosegue Chiara Branchini – e cioè si pensa che siano pantomime quando invece questa lingua presenta regole fonologiche, morfologiche e sintattiche complesse come quelle vocali. Dunque vogliamo codificarla e siamo arrivati a 351 pagine, in pratica siamo a metà. E posso dire che è una forma di comunicazione bellissima, artistica: la comunità sorda ha rappresentazione teatrale ed espressione poetica proprie. Io me ne innamorai mentre studiavo lingue straniere ad Urbino: il fatto che il corpo fosse parte della lingua stessa mi incuriosiva. Ca’ Foscari è l’unica università italiana in cui ci si può laureare in lingua dei segni, i nostri studenti quest’anno sono 376, il 30% in più rispetto al 2017. Chi entra in contatto con questo mondo (Il Festival del Silenzio, che sarà replicato nel 2019, si è rivelato un formidabile veicolo di conoscenza, ndr) ne resta rapito, affascinato. E sarebbe giusto che tutti noi conoscessimo questa lingua anche per una questione di rispetto sociale, non soltanto perché il 95% dei sordi viene da famiglie udenti. Inoltre la stima è che uno ogni mille bambini venga al mondo senza essere in grado di sentire».

Una grammatica digitale dei segni permetterebbe, dunque, di estendere attraverso l’universalità della rete la sua conoscenza e, soprattutto, la sua applicazione in quei tanti campi del vivere in cui la sua ignoranza si trasforma giornalmente in un handicap per persone che sono uguali a tutte le altre, salvo l’impossibilità di udire le parole. Un sordo incontra a volte difficoltà insormontabili: se gli capita un malanno in uno spazio aperto o, banalmente, quando viene annunciato solo vocalmente un allarme, si verifica un incidente o un banale ritardo su di un mezzo di trasporto o ha la necessità di far valere un proprio diritto in un ufficio pubblico.

«Partire dalla formazione degli operatori scolastici è determinante – conferma la referente italiana del progetto Sign Hub – perché consente di avere più figure in grado di valutare la presenza di disturbi uditivi e, al tempo stesso, di elevare la qualità della preparazione scolastica dei bambini sordi che, altrimenti, incontreranno nei problemi di comunicazione con l’esterno, un muro insuperabile per instaurare relazioni personali e intraprender carriere professionali allo stesso livello di chi ha un udito normale».

La lingua dei segni può venire in aiuto anche ai bambini udenti che lamentano disturbi del linguaggio differenti dalla sordità, dei bambini down e autistici, o temporaneamente bloccati oralmente perché stanno vivendo situazioni psicologiche di disagio, facendo da ponte all’uso della lingua vocale.

«Siamo a metà del lavoro, la selezione orale è molto approfondita per la complessità e ricchezza di questo fenomeno linguistico che vanta una sintassi e lessico particolareggiati ed è ricchissimo di sfumature – conclude la prof. Branchini – ma ci sentiamo in dovere di procedere speditamente per colmare il prima possibile la alcuna del nostro Paese che, insieme al Lussemburgo, è l’unico a non avere ancora riconosciuto legalmente la lingua dei segni nonostante la Comunità Europea nel 2006 abbia vincolato gli stati membri».
In attesa che il parlamento smetta di essere sordo, almeno avremo la grammatica digitale al servizio di chi, anche se menomato nell’udito, sente meglio dei nostri politici.

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